Ritratti di filosofi. Averroè: l’eternità del mondo e l’unità dell’intelletto

Ibn Rushd, Averroè per il mondo occidentale, nacque nel 1126 a Cordova, nel cuore della Spagna musulmana. Fu giurista e medico, fine metafisico e conosciuto anche come colui che «’l gran comento feo» (Dante Alighieri, Inferno, IV, v. 144), cioè come colui che scrisse il Grande commento, una monumentale opera che esamina e appunto commenta le seguenti opere di Aristotele: Fisica, Metafisica, De anima, De Caelo e Analitici primi. Questo Grande commento, conosciuto dagli autori medievali, non è l’unica opera scritta da Avicenna. Egli scrisse, infatti, altri commenti nonché opere come il Trattato decisivo sull’accordo tra la filosofia e la religione, La congiunzione tra tra l’intelletto materiale e l’intelletto separato e L’eternità del mondo.

Morì in Marocco nel 1198.

Averroè – come si può facilmente intuire da quanto detto precedentemente – ha una stima infinita per Aristotele, la cui opera coincide con la «suprema verità». Dice in uno dei suoi scritti: «Nessuno di quelli che l’hanno seguito fino ai nostri giorni, cioè durante 1500 anni, ha potuto aggiungere a quello che egli ha detto nulla che sia degno di nota. È una cosa veramente degna di meraviglia che tutto questo si trovi in un solo uomo».

Le tesi solitamente menzionate dagli storici della filosofia sono due: quella relativa all’eternità del mondo e quella dell’unicità dell’intelletto. Entrambe suscitarono un ampio dibattito anche nel mondo cristiano. Basti pensare che, alcuni decenni dopo, Tommaso d’Aquino (1225-1274) scrisse due opuscoli – il De aeternitate mundi e il De unitate intellectus – affrontando proprio le due questioni. Ciò, da un lato, dà l’idea della diffusione del pensiero di Averroè e, dall’altro, offre una testimonianza delle discussioni del mondo accademico dell’epoca e del modo in cui venivano affrontate questioni delicate come quelle menzionate.

«Il tema dell’eternità del mondo – si legge in un articolo sul tema – è uno degli elementi della filosofia aristotelica che, trasmessi anche dai commentatori arabi e strettamente legato ad influenze neoplatoniche, incontrarono maggiori contrasti nel corso del Duecento. Questa dottrina, infatti, insieme a quelle dell’unicità dell’intelletto, della negazione della Provvidenza e della negazione della libertà umana, caratterizzò il fenomeno noto come averroismo latino» (per l’articolo completo clicca qui).

Le tesi menzionate, infatti, portavano – la prima – alla negazione del concetto di “creazione” e – la seconda – alla negazione dell’immortalità dell’anima. Insomma, le due questioni aprono la porta alla trattazione di tematiche ontologiche, antropologiche, etiche e politiche, non solo, quindi, cosmologiche e psicologiche.

Nel breve spazio di un “ritratto” non è possibile affrontare queste affascinanti questioni in modo sistematico. Un semplice cenno utile, si spera, per la conoscenza di questo pensatore e dei problemi da lui sollevati.

Giovanni Covino

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