I rapporti tra persone sono – come ho detto in altri articoli – di carattere morale e riguardano non solo gli uomini tra di loro (da cui il discorso necessario sulla famiglia e la società), ma anche il rapporto uomo-Dio (aspetto morale della religione o aspetto religioso della morale).
Questi rapporti permettono di parlare di un determinato ordine che è appunto l’ordine morale che si affianca a quello fisico ma se ne distingue qualitativamente. L’uomo non ha, dunque, percezione solo di oggetti, ma anche di sé come soggetto libero e di altri soggetti altrettanto liberi: la conoscenza delle prime verità, infatti, non riguarda solo il mondo delle cose, ma anche il mondo delle persone e delle leggi che regolano questo mondo. È proprio qui che emerge il concetto di libertà che, assieme a quello di responsabilità, di alterità e di obbligazione morale, è un concetto-chiave del discorso etico. È, infatti, ovvio che l’agire dell’uomo per essere moralmente rilevante deve presupporre la responsabilità e quindi la libertà.
Non occorre dimostrare la libertà dell’uomo poiché essa è un dato immediatamente evidente: è la razionalità stessa dell’uomo ad esigere la libertà. Il giudizio morale procede dalla conoscenza del bene e del male e, dopo questo discernimento dell’intelligenza, l’uomo decide di fare o non fare un determinato atto in direzione di un determinato fine. Questa capacità dell’uomo è uno degli atti che permette di capirne la differenza qualitativa: dall’attività libera risaliamo all’essere da cui procede tale attività, un determinato essere che permette di distinguere – come evidenzia il filosofo Spaemann – “qualcosa” da “qualcuno” e mostrare quel mondo della soggettività di cui sopra:
«Chiamare qualcuno “qualcuno” e non “qualcosa” è un atto di riconoscimento al quale nessuno può essere costretto. Ciononostante questa decisione non è arbitraria. L’atto con il quale riconosciamo qualcuno come “qualcuno” e non come “qualcosa”, quell’atto, che è connesso con il nostro uso della parola persona, possiede una logica immanente».
R. Spaemann, Che cos’è il naturale?, Rosenberg & Sellier, Torino 2012, pp. 89-90
Ora, il “qualcuno” non è riducibile al “qualcosa” e questa irriducibilità è il proprium del mondo morale. La negazione di questo è all’origine della barbarie che la storia molto spesso ci presenta.
Riepilogando, i concetti-chiave del discorso etico sono: la libertà, come qualità primaria del nostro agire; la responsabilità, come caratteristica che accompagna il nostro agire; l’alterità, come riconoscimento del simile, della sua libertà e del suo essere inviolabile; infine, l’obbligazione morale che procede dal riconoscimento dell’altro.
Tutto ciò aprirà la strada al mondo dei valori o, per usare la terminologia classica, dei beni, fini e mezzi che regolano i nostri comportamenti e di cui parlerò più avanti.
Giovanni Covino
Pingback: Ordo amoris. Libertà e responsabilità: l'uomo e la legge morale | Briciole filosofiche