A questo punto è opportuno soffermarsi sui diversi giudizi esistenziali che vanno a costituire il senso comune nella dottrina liviana, bisogna cioè chiarire il contenuto del senso comune come presupposto di ogni altra forma di conoscenza. Secondo la proposta del filosofo toscano il senso comune è composto da cinque giudizi esistenziali.
- L’evidenza dell’esserci e del continuo divenire delle “cose”. È l’evidenza di ciò che la metafisica definisce “enti”: questa prima verità è esprimibile con il giudizio di gilsoniana memoria “res sunt”. Esso è il punto di partenza di qualsiasi riflessione scientifica.
- L’evidenza dell’io come soggetto. Questa evidenza può essere espressa con “nel mondo ci sono io, che conosco il mondo”. Nell’ambito della coscienza metafisica dell’essere, dunque, c’è primariamente la coscienza o consapevolezza del mondo (res sunt), e secondariamente, l’io (Filosofia del senso comune, cit., pp. 105-109. Come afferma Tommaso: «L’anima si conosce attraverso i suoi atti. Infatti, uno di noi si accorge di avere un’anima, di vivere e di esistere accorgendosi di sentire e di conoscere e di svolgere le altre funzioni vitali. […] Ma nessuno si accorge di conoscere se prima non conosce qualcosa, perché la conoscenza di qualcosa precede la conoscenza della conoscenza» (Tommaso d’Aquino, Quaestiones disputatae de veritate, q. 10, a. 8 [corsivo mio]).
- L’evidenza dell’esistenza di enti analoghi all’io e cioè “nel mondo ci sono degli altri simili a me con i quali comunico” (Ivi, pp. 109-110). Già nel Medioevo – come rileva Livi nelle pagine a cui ho fatto riferimento – Tommaso d’Aquino esprimeva la stessa opinione, cioè che “gli altri”, Dio compreso, sono colti dal senso comune a partire dall’esperienza dell’io: «Quilibet sibi prius est notus quam alter, et quam Deus»(Tommaso d’Aquino, In II Sententiarum, dist. 29, q. 1, art. 3, ad tertium);
- L’evidenza dell’esistenza di leggi di tipo morale (basate sulla libertà e la responsabilità). In altri termini, appena l’io si accorge della presenza di enti analoghi all’io, diviene consapevole allo stesso tempo che i rapporti con questi determinati enti sono di altra natura rispetto al rapporto che l’io ha con altri enti (come questo tavolo, questa sedia, la penna o il computer che ho davanti ecc.).
- Infine, l’esistenza di un Fondamento di tutta la realtà conosciuta. Livi lo esprime dicendo che «all’origine dell’esistenza delle cose e come fondamento dell’ordine che lega con leggi fisiche e morali il mondo, me e gli altri, ci deve essere un’Intelligenza creatrice e ordinatrice, che è anche l’ultimo fine mio e di tutto» (Filosofia del senso comune, cit., p. 101).
La certezza di un Essere che è Principio e Fine di tutto nasce da un’inferenza spontanea che tutti fanno in base ai dati che provengono dalla realtà di cui abbiamo esperienza. Come ho mostrato in un saggio dedicato a Maritain, nell’ordine pre-filosofico tutti gli uomini hanno l’esperienza dell’essere-con-il-nulla e da questo dato si conclude necessariamente l’esistenza (si badi: la certezza che c’è non come il Fondamento sia, cioè l’essenza) dell’essere-senza-il-nulla (si veda il mio saggio su Jacques Maritain nella tradizione del senso comune, Roma 2019). Insomma la certezza dell’esistenza di questo Principio fa un tutt’uno con le intuizioni del mondo e dell’io: l’esperienza della realtà è esperienza di una precarietà ontologica che richiede l’esistenza di Chi è l’Essere per essenza, per utilizzare il linguaggio metafisico.
Giovanni Covino
Segue parte terza
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